Flotte nel Mediterraneo Orientale: il gioco delle potenze

La Turchia attacca il Kurdistan e agita la propria flotta, la Russia osserva pronta a recitare un ruolo da prima potenza, il disinteresse americano e l’inconsistenza europea con Cipro al centro
La geopolitica del mare è un aspetto che rischia di passare sovente in secondo piano se non dimenticata, salvo essere ripresa in discussioni (demagogiche e strumentali) di minori importanza o estremamente locali, perdendo la cognizione persino dello stesso Mar Mediterraneo, territorio in cui l’Italia dovrebbe essere ben presente.
Proprio per entrare in questo contesto può essere utile citare la tesi “La “Liguria del Popolo” e i cattolici italiani di fronte alla Grande Guerra” del 2017 a proposito delle relazioni tra Italia e Austria nel Mar Mediterraneo cent’anni fa.
«L’Italia condivide con la corona asburgica le sponde del Mare Adriatico, ma la “Regia Marina” e la “k.u.k. Kriegsmarine” (ove le iniziali k.u.k. stanno per kaiserlich und königlich ovvero imperiale e regia, quindi traducibile in imperiale e regia marina da Guerra, mentre in ungherese era császári és királyi haditengerészet, indicando sempre quindi il livello imperiale austriaco e quello regale ungherese) non erano le uniche potenze navali di un certo livello nel Mediterraneo. A Tolone era presente la notevole “Marine Nationale” della Francia, oltre alla sua presenza presso Algeri, mentre la “Royal Navy” possedeva numerosi basi con cui controllare ogni traffico nel Mediterraneo; all’imboccatura con l’Oceano Atlantico manteneva la sua base di Gibilterra, mentre presidiava il Canale di Suez in Egitto, oltre a mantenere il controllo sulle strategiche Malta e Cipro. Un’ulteriore minaccia proveniva dalla “Marina Imperiale Russa” (Voenno-morskoj flot) interessata come detto ad ampliare il proprio raggio d’azione dal Mar Nero al Mar Mediterraneo, ostacolata in questo dalla “Marina Ottomana” (Osmanlı Donanması) sebbene quest’ultima fosse decisamente indebolita dopo gli ultimi conflitti balcanici e con l’Italia e ridotta ad una posizione difensiva all’interno dello Stretto dei Dardanelli, notevolmente difeso da numerosi forti. A tal proposito è interessante leggere un articolo della “Liguria del Popolo” a proposito dell’apertura del blocco turco nei Dardanelli al passaggio della flotta russa: Dall’apertura dei Dardanelli […] vede sorgere tutta una nuova situazione marittima toccante direttamente l’Italia e l’Austria. […] l’aumento della flotta da parte della Turchia e della Russia. Vedremmo sorgere nel Mediterraneo orientale due nuove potenze marittime. La Russia, spostandosi dal Baltico ove non ha avvenire, diverrebbe una potenza marittima mediterranea. Esaminata dal punto di vista della triplice “entente” la nuova Potenza marinara russa diverrebbe l’estrema ala mediterranea della Potenza Inglese. L’Inghilterra e la Russia si tenderebbero la mano nel Mediterraneo e l’Inghilterra potrebbe diminuire la sua flotta in questo mare per rafforzarla altrove. Le due potenze più direttamente toccate dall’intervenire della Russia nel Mediterraneo sarebbero le Potenze adriatiche. L’Austria e l’Italia che ne verrebbero forzate ad aumentare i loro mezzi offensivi e difensivi».
Non a caso vogliamo citare il Mediterraneo Orientale, i Dardanelli, la Turchia e la Russia, protagoniste oggi di una nuova corsa di rafforzamento d’influenza nell’aria (ai tempi si sarebbe detto “di potenza”) da parte delle due potenze.
Partiamo dal motivo d’attualità: l’attacco della Turchia alla Rojava, la zona autonoma gestito dal popolo curdo, embrione di un futuro stato del Kurdistan (un sogno secolare rafforzato nel 1918 alla proposta anglo-francese di costituire uno stato indipendente per poi sacrificarli sull’altare della pace con la nuova Repubblica Turca susseguita all’Impero Ottomano) nel nord della Siria, unici ad affrontare da subito, in prima linea, l’Isis. Mentre l’esercito turco, seconda forza militare dell’aria ma indebolito nel suo stato maggiore, avanza sui curdi (invadendo il nord della Siria comunque) l’Occidente registra la propria preoccupazione e opposizione, condannando Erdogan, ma senza effettivamente muovere un dito verso alleati che hanno sempre giurato falsamente di proteggere.
Si registra tuttavia a margine una serie di movimenti della flotta turca nella sua area meridionale, ovvero nello stretto di mare a nord di Cipro, stato indipendente e facente parte dell’Unione Europea. La Turchia non solo minaccia di lasciare il via libera al passaggio di migranti sul proprio territorio verso l’Europa (mettendo in forte agitazione Bulgaria, Romania e le nazioni del gruppo Visegrad) ma in questo modo può porre una silenziosa pressione nel punto più ad est e isolato dell’Unione Europea. Isola divisa inoltre in due, con lo stato cipriota meridionale e nel nord una repubblica autonoma rivendicante la propria indipendenza e costituita proprio dai turchi a seguito dell’invasione nel 1974 contro la proposta di unificazione tra la ex colonia britannica (Regno Unito che conserva tuttora le due basi militari di Akrotiri e Dhekelia come colonie, motivo ulteriore di crisi per la Brexit).
Ad inizio ottobre la nave da perforazione turca Yavutz ha iniziato ad esplorare e avviare le trivellazioni nell’area di mare a nord di Famagosta di cui Cipro, supportata dalla comunità internazionale, ritiene l’area del pozzo di Guzelyurt-1 una sua Zona economica esclusiva. La nave è tutt’ora nell’area. Nel febbraio 2018 si ricordi inoltre come le navi militari turche avessero fermato la Saipem 12000, noleggiata da Eni e inviata in zona per le esplorazioni. Parte di quel tratto di mare inoltre è affidato all’Eni, ponendo la stessa Italia in una situazione delicata. I movimenti turchi nei porti peggiorando ulteriormente le condizioni.
Se quindi la Turchia da un certo punto di vista si ritrova ad esacerbare la tensione nell’area, si ritiene necessario un approfondimento sui rapporti di forza e di alleanze nell’aria, oltre a domandarsi quale sia il ruolo delle grandi realtà presenti in zona, ovvero Unione Europea, Russia e Stati Uniti.
Non dimentichiamo che, dirimpetto a Famagosta è presente il porto di Tartus. Questo porto, presente in Siria, è una base della flotta militare siriana ma soprattutto è l’unica base navale militare della Federazione Russa al di fuori del proprio territorio e dei “5 mari” (Baltico, Artico, Pacifico, Nero e Caspio). Ciò, aggiunto al fatto della grande influenza russa in Siria, potrebbe creare una nuova tensione tra Mosca e Ankara. Un gioco pericoloso per i turchi, poiché se anche la flotta russa in Siria si ritrovi isolata e non possa attraversare i Dardanelli, un possibile scontro sul Mar Nero potrebbe rivelarsi catastrofico, considerando inoltre lo stato di galvanizzazione della Voenno-morskoj flot dopo la vittoria contro la debole flotta ucraina (le cui navi erano eredità della stessa flotta sovietica).
Se il rapporto di forze militari risulta impari pertanto, ci si deve domandare quali sono le influenze in zona, considerando la debole presenza dell’Unione Europea. In questo quadro la Russia è destinata a recitare un ruolo sempre più importante, approfittando del vuoto europeo e della vicinanza culturale, politica e religiosa con due comunità, Grecia e Cipro. Nicosia stessa, senza contatta Bruxelles, sta rafforzando i contatti coi russi. Mosca attende di essere invocata? Probabilmente sì. Putin, per quanto riceva benefici dalla presenza di un’autorità ancora più aggressiva nell’area europea-asiatica che faccia da spauracchio per il mondo, non può attaccare per prima, salvo che la situazione degeneri sul mare o in Siria, ma potrebbe attendere da un innervosito governo cipriota una richiesta di aiuto. E già esiste un’alleanza in questo senso. Componenti di questa partnership sono Grecia, Cipro, Russia ed Egitto (occasionalmente Malta), con tre paesi teoricamente alleati dell’Occidente ma che, ora, potrebbero virare (con l’Egitto in realtà già da tempo passato ad una più stretta relazione coi russi). La Grecia stessa, dove il popolo ancora ricorda gli anni duri passati e che trova facilmente nell’Europa il nemico su cui versare ogni colpa, è stata rimproverata dallo stesso governo americano per i suoi nuovi rapporti con Russia e Cina.
E gli Stati Uniti? A parole condannano, ma il 13 novembre è fissato un incontro tra Trump ed Erdogan. Trump stesso, che ha spostato le proprie armate dalla Siria (ne avevamo parlato nel precedente articolo) attua una completa politica di disinteresse, specchio, cent’anni fa, del rapporto isolazionista liberalista americano nei confronti della “questione europea”. “Se la risolvano loro”, rispondevano in molti alle interviste. Una mentalità imprenditoriale, che mette da parte non solo la storia post guerra fredda ma le alleanze stesse, Nato in testa. Le nazioni appaiono quindi come avversarie commerciali anzitutto, buone al più per la propria politica di marketing.
L’Europa, divisa e confusa, non trova nemmeno unità morale. Le stesse destre europee, nemiche dichiarate della Turchia, si trovano in una situazione di conflittualità divisi tra il sostegno a Donald Trump (simbolo dell’autarchia economica ma che con le sue mosse mette in difficoltà i singoli paesi europei, creando un corto circuito ideologico) e a Vladimir Putin (simbolo della lotta all’Occidente e al liberalismo europeo ma che al contempo è concorrente dei singoli paesi europei) non trovano una posizione univoca, trovandosi così a sostenere addirittura l’indipendenza del Kurdistan (l’indipendenza dei popoli è da sempre motivo caro alle destre nazionaliste ma al contempo motivo di contrasto se nel proprio paese) come paese “cristiano” (quando piuttosto, oltre alla predominante fede islamica, si ravvede un elevato numero di mazdeisti) e sostenuto da elementi e movimenti di sinistra.